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Aldo Manuzio, editore, tipografo, grammatico e…

Aldo Manuzio, nato a Bassiano a metà del XV secolo e morto il 6 febbraio 1515 a Venezia, è uno di quei personaggi che farei studiare a scuola ma che, purtroppo, viene spesso ignorato.

In quebortoluzzi-aldo-manuzio-2sta rubrica di appunti sparsi e caotici, che considero pillole di curiosità che magari trovate interessanti da leggere tra una notizia inutile ed un fake tanto condiviso su Facebook, spendo due righe per parlarvi di lui.

Aldus Mannucius, come usava firmarsi nelle prime edizioni che produceva, studiò con Giovanni Pico della Mirandola e fu anche tutore di suo nipote, il principe Alberto III Pio. Pare che fu proprio Alberto, successivamente a finanziare le sue prime stampe.

Aldo, che fu anche insegnante, va ricordato per la caparbietà con la quale perseguì il suo obiettivo di creare una tipografia che producesse edizioni stampate dei capolavori della letteratura e della filosofia greca e latina, per diffonderne la conoscenza, altrimenti destinata a ridursi sempre più fino a scomparire.
La creò a Venezia, negli anni dello splendore della Serenissima, alcuni decenni dopo la caduta dell’Impero Romano d’Oriente.

Ammirevole lo spirito che animava il suo lavoro: diede sempre più importanza alla qualità delle sue opere, piuttosto che sacrificarla a favore del profitto. Il forte impeto di far conoscere la cultura greca lo portò a realizzare il suo sogno, ovvero quello di fornire testi impeccabili a costi contenuti, al fine di allargare il più possibile il bacino di utenti.

Ultima curiosità, nel 1502 fondò l’Accademia Aldina, cui fecero parte anche Pietro Bembo ed Erasmo da Rotterdam, che aveva come scopo primario la divulgazione degli studi ellenistici, tant’è che i membri dovevano comunicare tra di loro solo ed esclusivamente in greco.
In caso di errore dovevano pagare una multa, seppur di modesta entità, che avrebbe alimentato un fondo comune.

Concludiamo quindi con un ‘grazie Aldo‘, grazie per aver pubblicato Aristotele, Cicerone, Catullo, Virgilio, Omero, ma anche Tucidide, Sofocle, Erodoto e Ovidio, per citare gli autori più importanti.

E non dimentichiamo quel curioso Hypnerotomachia Poliphili, che ispirò il romanzo ‘Il codice del quattro‘ di Ian Caldwell e Dustin Thomason.

Uffa, la storia è noiosa!

Quante volte mi sono sentito dire che “la storia è noiosa”, in vita mia.
Il che può essere vero, in determinate circostanze, ma non è certamente la regola.
Durante il breve periodo in cui ho insegnato, ho avuto modo di analizzare le reazioni dei miei alunni di fronte ai concetti nuovi, in base alla loro forma mentis, al loro carattere, alle loro capacità ed al loro interesse.
Ed è proprio l’interessamento verso la materia che può contribuire in maniera sostanziale all’apprendimento finale.
E, quando si tratta di insegnare, è compito del docente rendere le lezioni accattivanti, deve incuriosire, deve essere simpatico, mai banale ne scontato per tenere alto l’interesse del pubblico.
In parte è come parlare al pubblico durante una conferenza. Logicamente non tutti possono vantare lo stile del professor Alessandro Barbero, la capacità divulgativa di Alberto Angela, l’approccio di Philippe Daverio, ma nel nostro piccolo possiamo comunque fare molto.
Ricordo con simpatia insegnanti che portavano in aula un’audiocassetta, limitandosi ad assopirsi durante la riproduzione della stessa tramite un registratore a batterie.
Trovando la chiave giusta potremo rendere curiosa la nostra esposizione e quando l’interesse è alto, tutto il pubblico, così come i ragazzi della nostra classe, staranno attenti e ne vorranno sapere di più.
Ho avuto modo di accorgermi che ciò accade trasversalmente alle qualità individuali dei ragazzi.
Ci potranno essere tematiche più o meno avvincenti, lunghi elenchi di date non hanno mai stimolato – giustamente – l’attenzione di alcuno.
Ma la biografia di un personaggio storico può essere vista come una voyeuristica ricostruzione della sua vita, dove tentiamo di scoprire anche la personalità, chi era, cosa ha fatto, perché, quali fatti hanno influenzato le sue decisioni.
Ad esempio, mi è stato possibile parlare per oltre quattro ore del Re Sole, Luigi XIV di Borbone, citando in un paio di passaggi l’indispensabile funzione di educatrice sessuale della baronessa di Beauvais.
Scontri, guerre e battaglie devono trasmettere anche emozioni e sensazioni, occorre comprendere come reagiva la popolazione, chiedersi come ci saremmo comportati noi in quei frangenti.
Tutto ciò, logicamente, va accompagnato al metodo di studio, estremamente personale ed individuale per ognuno di noi. Un consiglio forse scontato, ma sempre valido, è quello di comprendere i macro eventi del periodo studiato, nella loro corretta sequenza cronologica e le loro relative correlazioni.
Quella costituirà la base sulla quale imbastire i dettagli e gli aneddoti che, altrimenti, si disperderebbero nello spazio infinito senza legami.
Avendo una struttura semplice ma solida, potremo via via riunire gli approfondimenti in modo ordinato e più semplice da ricordare.

L’ultimo tesoro – nuovo ciclo di conferenze di Luigi Bavagnoli

Si è concluso l’ultimo ciclo di conferenze di Luigi Bavagnoli.
Un tour che l’ha visto impegnato ad esporre i risultati di una ricerca decennale ed a rispondere alle numerose domande di un attentissimo pubblico, sulla misteriosa vicenda della Grotta dei Saraceni.

Ed è proprio il titolo, l’Ultimo Tesoro, che evoca il tesoro che si racconta essere anche ben protetto nel ventre del colle di S. Germano a Ottiglio Monferrato.

In queste occasioni Bavagnoli ha sperimentato uno stile più dinamico ed interattivo. Non è stato proposto il medesimo intervento ad ogni data del tour ma, a parte una comune introduzione ai temi, si è ripercorsa via via la ricerca intrapresa, dispensando di volta in volta nuovi elementi, nuovi indizi e nuove scoperte.

Chi ha colto questo sistema di esposizione ha partecipato a più incontri, seguendo il ricercatore, presidente dell’associazione speleo-archeologica Teses, ai vari appuntamenti.

Teses ricerca collaboratori, esperti e ricercatori

Rispondo in questo post alla numerose richieste di collaborazione che ogni giorno arrivano attraverso il nostro sito o attraverso i canali social.

Nel corso degli anni in molti hanno militato tra le fila del Teses.
Chi per diversi mesi, chi per pochi giorni.
Ognuno, nel bene o nel male ha dato il proprio contributo, compatibilmente con la propria formazione, con le proprie competenze.

Abbiamo accettato chiunque, dando ad ognuno le medesime opportunità di crescita all’interno di questa associazione che, per natura, non è mai soddisfatta dei risultati raggiunti e che mira costantemente al continuo miglioramento.
Esperti e semplici appassionati, titolati e neofiti.

C’è chi ha avuto modo di organizzarsi tra studio, lavoro, famiglia, figli e impegni personali, ricavando il tempo necessario per poter garantire un impegno reale, una presenza costante, dimostrandosi non solo affidabile, ma anche indispensabile.
C’è chi ha avuto modo di essere presente ad intermittenza, scomparendo per periodi più o meno lunghi, rallentando i lavori e bloccando altre persone.

Logicamente il nostro investimento in termini di formazione, che ci costa in ogni caso tempo che va sottratto alle ricerche, si è concentrato verso chi forniva più garanzie di crescita e di presenza, senza per questo smettere di sperare che altre persone riuscissero ad organizzarsi in modo migliore.

Ben consapevoli di essere un’associazione di volontariato, e che quindi il contributo dei collaboratori è, appunto, volontario, non possiamo permetterci di disperdere energie nel seguire ed inseguire persone che non hanno l’opportunità di dedicarsi alle ricerche in modo presente e continuativo.

Per questa ragione ricerchiamo collaboratori, ma che possano esserlo non solo sulla carta, o garantendo una presenza part-time.
Purtroppo, per condurre indagini significative, che vadano oltre l’escursionismo, sono necessarie ricerche, studi, rilievi, relazioni, etc… Tutto ciò richiede tempo, alcune ore ogni giorno, oltre alle giornate intere dedicate alle esplorazioni o ai sopralluoghi.

Il tutto amalgamato da grande passione, capacità organizzativa, corretta gestione dei tempi e formazione di base che al momento non abbiamo più modo di fornire internamente, proprio perché le emergenze che seguiamo non ci danno tregua e tempo libero.

La figura che si ricerca è quindi un appassionato alle tematiche di ricerca e di studio di ambienti sotterranei artificiali, con la possibilità di garantire la presenza operativa nel fine settimana (sabato e domenica), un impegno costante di almeno un paio di ore ogni giorno.
Le preferenze vanno a chi, a parità di requisiti, possa dimostrare di aver praticato costante attività speleologica per diversi anni, partecipato a studi archeologici anche come volontario e con una formazione personale possibilmente incentrata su geologia, architettura, archeologia e storia.

Chiediamo poco, vero?
Ne siamo consapevoli. Ma solo così un contributo esterno potrà essere realmente utile e proficuo e non un freno come già avvenuto troppe volte in passato.

Video documentari, storia, archeologia e avventura: le esplorazioni e le indagini del Teses

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Il canale YouTube dell’associazione speleo-archeologica Teses è una realtà.
Grazie al progetto Teses Mystery Channel, il numero e la qualità dei video documentari prodotti si è innalzata di molto.
Con il pretesto del mistero giriamo l’Italia alla ricerca di storie, di leggende e di folklore locale, raccontando utili aneddoti storici. L’avventura e l’esplorazione rendono accattivanti le indagini, arricchite da sempre più belle animazioni 3D in computer graphics.

Siete pronti a scendere in oscuri sotterranei, nelle cripte dimenticate ed a percorrere gallerie e cunicoli nascosti sotto a castelli e chiede?

Allora iscrivetevi al nostro canale YouTube!

http://www.youtube.com/subscription_center?add_user=archeoteses

Luigi Bavagnoli parla ai più giovani: molti bambini affascinati dal Teses

Complice la popolarità data dai servizi girati con Mistero, l’attività esplorativa dell’ass. Teses ha raggiunto anche i più piccoli.

Attraverso la televisione, ma anche tramite internet e Facebook in particoalre, anche ragazzini dai 10 anni in su seguono le imprese esplorative di Luigi Bavagnoli e della sua banda.

Alcuni chiedono di partecipare a qualche lezione in classe, magari spiegando proprio storia, altri vorrebbero che Luigi parlasse anche di matematica o geografia.

Ma, in fondo, a molti solletica l’idea di partecipare alle avventure del Teses. Per questa ragione, Luigi Bavagnoli, fondatore e presidente del Teses, ci comunica questo breve messaggio per tutti i giovani fan:

“Esplorare è meraviglioso, ma è anche molto pericoloso. Nei nostri video vedete luoghi incantevoli, ma spesso i pericoli vengono sminuiti dal risultato finale del video o addirittura non vengono mostrati.
Non per questo non sono presenti. Si tratta di documentari in cui spieghiamo la storia di questi luoghi e raccontiamo ciò che si può ancora leggere, osservandone i resti.
A volte siamo anche divertenti o ironici, ma niente di quello che facciamo va improvvisato.
Ciò non vi impedisce di esplorare, anzi. Ma ci tengo a sottolineare che esistono corsi in cui imparare a riconoscere i pericoli e a ridurre i rischi. Siete giovanissimi e avete tutta la vita davanti, quindi iniziate gradualmente, dalle cose facili e sempre sotto il controllo di un adulto con esperienza. Chiaro?”

Il museo locale

I musei locali, soprattutto nei piccoli centri, vengono spesso penalizzati.
Vercelli non è un caso a parte, se si pensa che il Museo Leone ospita un quantitativo di reperti locali pari a quello conservato nel capoluogo.

Perché quindi metà dei reperti vercellesi noti e catalogati sono fruibili a Torino?

Un museo locale dovrebbe poter raccontare la storia della propria città e delle terre che la circondano. Se pensiamo a quanto materiale archeologico è andato perso (rubato, demolito, sottratto, rivenduto, etc…) negli ultimi due secoli, dovremmo sforzarci di valorizzare al meglio quel poco che ci è rimasto. Purtroppo il problema della carenza cronica dei fondi allocati alla cultura è noto e senza apparenti margini di miglioramento. Ma forse esiste qualche possibilità low budget per migliorare le cose?

Noto che la maggior parte dei visitatori osserva i reperti nelle teche come oggetti particolari e affascinanti perché antichi.
Una lucerna romana è pur sempre una lucerna romana, sia che si trovi in una teca a Vercelli, a Torino o a Berlino.

Ma credo che la popolazione locale dovrebbe poter vivere un’empatia maggiore, consapevole che la lucerna di 2.000 anni fa che sta osservando è stata repertata nella loro città. E quando si conosce con precisione l’ubicazione del ritrovamento una piantina del territorio con una semplice X potrebbe favorire il collegamento mnemonico necessario per collocare l’oggetto in un luogo noto.

Questo permette di scoprire quelle curiosità che potrebbero anche tramandarsi velocemente, viralizzarsi diremmo oggi, scoprendo che quell’embrice è stato trovato nel campo vicino a… oppure che quella fibula è stata ritrovata dove oggi ha la casa o il negozio quell’altra persona. Credo siano valori aggiunti che solo un museo locale può permettersi e che quindi dovrebbe sfruttare.

L’oggetto inanimato apparteneva a chi ha vissuto in quel luogo, tra quelle strade. E’ sì un oggetto lontano nel tempo, ma vicino geograficamente.
Credo che in pochi riescano a percepire il valore aggiunto di un reperto antico proveniente dalla propria terra, forse perché poco si è spinto per far percepire chiaramente questo legame.

Ancora più importanti sono i contesti epigrafici, che ci permettono di comprendere frammenti della storia passata, di enrome importanza proprio in quanto contestualizzati. Altrimenti assumerebbero, agli occhi del fruitore medio, il mero fascino di antiche pietre incise.

Nelle sale epigrafiche spesso mancano due cose, di cui sentirei il bisogno. La traduzione leggibile e completa del testo originale ed una breve spiegazione del valore specifico ed intrinseco di quella determinata fonte.

I visitatori di un museo solitamente trascorrono molte ore in piedi, sono stanchi, certe sale all’apparenza meno coinvolgenti vengono percorse distrattamente in velocità. E’ molto raro vedere il pubblico soffermarsi a tradurre i contenuti dal latino, tanto meno dal latino epigrafico.

Quindi ci limitiamo a mostrare delle pietre incise. Ma il loro valore sta nelle parole impresse ad imperitura memoria, che testimoniano scelte politiche, avvenimenti, fatti che ci permettono ci comprendere l’evoluzione della nostra città. Due pannelli accanto all’epigrafe potrebbero cambiare ulteriormente il metodo di fruizione degli spazi espositivi e di presentazione di reperti altrimenti difficili da comprendere per i non addetti ai lavori.

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Le donne nella storia dell’archeologia

Voglio porvi una domanda: qual è il primo nome di un’archeologa del passato che vi viene in mente?

Difficile, vero?!

La storia dell’archeologia è fatta di nomi di ricercatori ed archeologi, chiaramente di sesso maschile, alcuni molto famosi e forieri di grandi successi, altri meno, ma i loro nomi riempiono le pagine dei testi scientifici e divulgativi. Non così per ciò che riguarda le donne, i cui nomi sembra nemmeno esistano. Eppure, di donne che si sono appassionate alla ricerca ed allo studio del passato, contribuendo a volte anche in modo determinante all’evoluzione di questa disciplina, ne sono esistite diverse. Perché non vengono ricordate?

Sostanzialmente perché il rapporto delle donne con l’archeologia è piuttosto giovane, ed è riconducibile, almeno nei suoi risultati più evidenti, al XIX-XX secolo. In rarissimi casi possiamo risalire al XVIII. Quasi tutte appartenevano a famiglie facoltose che potevano permettersi di pagare loro certi studi, o potevano contare su un marito, o in alternativa il padre, già immesso in questo campo, che seguivano durante i lunghi viaggi e i successivi scavi. Non a caso, nonostante i meriti ed i riconoscimenti personali, vengono spesso ricordate come “moglie di” o “figlia di”. Al contrario di quanto avveniva (ed in alcuni casi avviene tuttora) con gli uomini.

Bisognerebbe effettuare, però, un distinguo ben preciso tra le donne italiane e quelle degli altri paesi, principalmente anglosassoni: la situazione culturale italiana ha risentito più a lungo di un’impostazione mentale e sociale che voleva la donna quasi esclusivamente moglie e madre e, solo secondariamente e con grandi difficoltà, era loro ammesso dedicarsi ad attività alternative, quali ad esempio l’insegnamento o la cura dei malati. Di conseguenza si ebbe un forte ritardo nell’affermarsi di figure femminili italiane in ambito archeologico, complice anche l’inesistenza di un’istituzione nazionale che potesse ospitarle sul campo. Infatti questo stato di cose venne a mutare quando nel 1909 il prof. Federico Halbherr creò la Scuola di Archeologia Italiana ad Atene. Per rimarcare le differenze sopra citate, ricordiamo che ad Atene operavano in modo stabile, già da diversi anni, scuole di archeologia di altri paesi: dal 1846 la scuola francese, dal 1874 la scuola tedesca, dal 1882 quella americana e dal 1886 quella britannica.

Queste istituzioni ufficiali, come anche la Regia Scuola Nazionale di Archeologia di Roma, offrivano, per la prima volta, innanzitutto un luogo fisico che accoglieva le donne che intendevano impegnarsi nello studio e, assolutamente da non sottovalutare tenendo conto del periodo storico, una sorta di protezione e di garanzia di sicurezza nel prendere parte agli scavi organizzati dalla stessa scuola, non solo per le aspiranti archeologhe ma anche per le loro famiglie. Infatti, nonostante la possibilità senza precedenti loro offerta (non dimentichiamo che le donne erano tenute lontane da moltissimi ambiti accademici, soprattutto scientifici o afferenti alla medicina, il cui monopolio era esclusivamente maschile e discipline come l’antropologia erano considerate sconvenienti per le menti femminili), erano pochissime quelle che sceglievano il lavoro sul campo, mentre la maggior parte preferiva la più tranquilla attività d’insegnante. Molto diffusa era, infatti, l’idea che un lavoro particolare come quello archeologico non si adattasse affatto alla fragilità propria femminile e le condizioni di lavoro dell’epoca non erano di aiuto: le zone degli scavi potevano essere raggiunte in modo poco sicuro e non certamente comodo, a dorso di mulo, attraverso percorsi anche pericolosi, dormendo in luoghi sempre diversi che venivano offerti dagli abitanti locali oppure nelle tende da campo, lavorando altresì a strettissimo  contatto con operai reclutati sul posto, i cui modi venivano spesso considerati poco adeguati e rozzi. Si capisce bene come, in queste condizioni, le famiglie disposte a permettere alle proprie figlie di vivere determinate esperienze fossero veramente molto rare, e non solamente in Italia.

Ciò nonostante molte di loro non si rassegnarono e, con passione e determinazione, diedero prova di grande capacità, intelligenza ed intraprendenza. Ecco perché, dopo aver descritto su questo sito le vite di diversi famosi esploratori e scopritori del glorioso passato, penso meritino anche loro di essere ricordate per l’importante apporto che il loro impegno profuse in ambito archeologico e scientifico, ed è a loro dunque che intendo dedicare alcuni interventi che ne ripercorrano le tappe e le biografie.

Margherita Guccione

TMC – Teses Mystery Channel si rinnova

Il TMC, acronimo di Teses Mystery Channel, è un progetto nato da un’idea di Luigi Bavagnoli, che si prefigge di far conoscere ad un vasto pubblico generalista fatti misteriosi e poco noti.
Il pretesto del “mistero” guida Luigi e i Teses alla ricerca di ambienti sotterranei, simboli esoterici, misteri alchemici e leggende.

E’ possibile parlare di misteri senza cadere nel facile sensazionalismo e senza l’obbligo di creare aspettative quando, di misterioso, non c’è proprio nulla.

Con Teses Mystery Channel si riscoprono luoghi dimenticati e frammenti di storia. Perché se si vuole tutelare e valorizzare, occorre conoscere. Quindi preparatevi a questo nuovo viaggio tra la storia, l’archeologia, l’esplorazione e l’ignoto.

Ecco tutti i video prodotti da Teses Mystery Channel, parliamo delle mappe di Piri Reis, di un tesoro sepolto a Vercelli, della porta magica di Roma, dei fantasmi della rocca di Cesena, di un forte spagnolo scomparso e di molto altro ancora.

Champollion e la stele di Rosetta

Sappiamo tutti che fu grazie a Jean Francois Champollion che oggi possiamo decifrare i geroglifici, la misteriosa scrittura dell’antico Egitto.

Spesso però si tende a sottovalutare la fatica, il sudore ed i sacrifici che quest’uomo dovette affrontare e superare.
Solo chi si applica con estrema passione e dedizione al proprio lavoro, chi dedica anima e corpo al mestiere scelto, può comprendere quanto siano necessari i sacrifici che si debbono affrontare prima che i risultati arrivino.

Certamente è necessaria anche abilità e fortuna, ma l’aspetto umano passa troppo spesso in secondo piano. Ci si limita a studiare il nome dell’inventore o dello scopritore e, quando va bene, il periodo in cui l’evento è avvenuto.

Nulla più. Troppo poco, non rende giustizia. Personalmente noto che sia carente l’aspetto umano, le difficoltà, le emozioni, la disperazione vissuta. L’affanno, i dubbi, le paure, le incertezze, i rischi.

Champollion è nato il 23 dicembre del 1790, da una madre paralizzata e crebbe in una Francia scossa dal regime del Terrore e si dice che, sorprendentemente, imparò a leggere da solo a cinque anni.
A dodici anni scrisse il suo primo libro: “Storia di cani celebri“.
A sedici anni conosceva il latino ed il greco e almeno sei lingue orientali come l’arabo, il siriaco, il caldeo ed il copto. A diciassette anni redige una carta storica dell’Egitto. Sapete che intorno ai vent’anni veniva chiamato “l’egiziano“? Possedeva una carnagione scura e la cornea gialla.

Come scolaro, però, pare non fosse una cima, così il fratello, il filologo appassionato di archeologia Jacques Joseph Champollion, lo portò con se a Grenoble, per curarne l’educazione.

E come Schliemann disse al padre: “Io troverò Troia!“, Champollion disse con altrettanta fermezza: “Quando sarò grande leggerò i geroglifici!

Inizia una vera e propria ossessione, ogni suo pensiero, ogni suo istante è focalizzato nel tentativo di decifrarli. Quando una copia in gesso della stele di Rosetta giunge a Parigi si erano già scatenati i geni più illustri d’Europa nel tentativo di decifrarla. Una lotta contro il tempo e contro i sapienti luminari appassionati a questo millenario enigma.

La vita del diciassettenne Champollion è costituita solo da archivi, istituti, biblioteche. Studia il sanscrito, il persiano e si procura una grammatica cinese.

La sua mente è una spugna alimentata dal fuoco sacro della passione più pura, quella che fa trascurare la salute e l’economia. Il fratello lo mantiene come può, ma pare che evitasse gli incontri mondani per vergogna, in quanto il suo unico vestito era sempre più liso e consumato.
Trascorre tutti i giorni e buona parte delle notti a leggere, paragonare, tradurre, ipotizzare. Una febbrile ricerca che solo pochi animi possono affrontare.

All’età di diciotto anni compie il primo passo verso la decifrazione, ma è proprio in questo momento che il mondo pare crollargli addosso.
Apprende casualmente la notizia che qualcuno ha decifrato i geroglifici.

Il suo unico grande sogno, obiettivo per il quale aveva sacrificato ore e ore di sonno e la propria salute, per il quale aveva digiunato, il sogno per il quale aveva accettato di vivere in miseria andava infrangendosi con la violenza di un uragano.

Impossessatosi della brochure di Alexandre Lenoir, l’uomo che lo avrebbe preceduto nella decifrazione, si chiude in casa, stremato, ed inizia a leggere.
L’aneddoto è addirittura commuovente. La vedova Mecran era la signora presso la quale era ritirato in pensione. Gentile signora che si preoccupava di fornirgli quotidianamente un pasto caldo, ospitandolo a casa sua.

Fu proprio questa signora a preoccuparsi quando, dopo ore di silenzio, consapevole del suo stato di salute decisamente debilitato, iniziò a udire rumori e schiamazzi provenire dalla sua stanza. Apre la porta e lo trova sghignazzare di gusto, inarcato sul divano, mentre con una mano agita la brochure di Lenoir.
Aveva realizzato che si trattava di un clamoroso fiasco.

Questo episodio gli diede una nuova energia per affrontare, e risolvere, nel 1822, il mistero della decifrazione dei geroglifici, coronando così il suo unico grande sogno.