Quanto la TV smuove la cultura?
Poco, pochissimo.
O forse parecchio?
Parlare di cultura in televisione non è facile, i tempi di un programma sono serrati, il linguaggio deve essere semplice e diretto.
Se non ci chiamiamo Angela, Sgarbi, Barbero o Daverio (mi perdoneranno gli altri che al momento non mi sovvengono) sarà veramente difficile trasmettere qualche cosa di comprensibile, in modo chiaro ed appassionante.
Perché poi è quello l’obiettivo, ficcare nella testa dei villani qualche informazione di carattere culturale. Sforzo omerico che prevedere l’apertura di un varco nel cervello degli italiani a discapito del calcio e delle chiappe delle veline.
Pur nei limiti dei rispettivi contenitori ho vissuto sulla mia pelle più volte queste sperimentazioni. Anni fa realizzai, per esempio, un documentario per il nostro canale YouTube, sulla Sfinge della Valganna, un labirinto di cunicoli artificiali, scavato per chilometri nelle colline in prossimità di Varese.
Luogo che studiavo dal lontano 2006, dopo averlo conosciuto tramite l’amico speleo-sub Amedeo Gambini.
Su internet il video stentò a decollare, nonostante la partecipazione della bellissima attrice inglese Jane Alexander, che aveva deciso di mettersi alla prova, con caschetto e scarponcini, strisciando nel fango con noi per almeno otto ore filate.
Parlammo poi di questo luogo anche su Rai 3, prima all’interno della rubrica Lombardia Ritrovata e poi nel contenitore Bell’Italia con Umberto Martini. E anche in quei casi nulla, all’apparenza, si smosse.
Fu poi il turno di Mistero, il noto programma di Italia 1, dove ho presentato in prima serata la rubrica Teses chiamata “Mystery Underground”. Ovviamente scrissi numerosi articoli su parecchi testate, settimanali e mensili. In pratica sfruttai tutti i canali possibili per far conoscere questo luogo ed i suoi enigmi al grande pubblico.
Risultato? Due gruppetti di aspiranti emuli ci andarono per fare delle riprese, senza comprendere minimamente cosa avessero davanti, almeno dal punto di vista storico ed archeologico. Stessa cosa che, probabilmente, avrei fatto io a quindici anni.
In seguito ci andarono almeno tre gruppi di GH, “Ghost Hunters”, per captare spiriti e fantasmi – a detta loro – celati in quei meandri.
Ecco, forse la TV non è il mezzo più indicato per parlare di certi argomenti, unitamente al fatto che evidentemente non sono in grado io per primo di riuscirci.
Si ha l’impressione che il pubblico televisivo sia sempre più superficiale, distratto e che non gradisca approfondire nulla. Forse figlio dell’era 2.0, in cui le informazioni, mai verificate, vengono assorbite solo dai titoli e non dai contenuti e condivise senza essere lette.
Poco, male e subito. Questo è il target a cui, purtroppo, ci rivolgiamo.