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La leggenda del ‘Fiume di Ossa’ della chiesa di Santa Maria Maggiore di Vercelli (VC)

Dopo 15 anni di conferenze e di pubblicazioni, finalmente online sul canale YouTube dell’associazione, il video che racconta la leggenda del misterioso ‘Fiume di Ossa’ che, secondo la tradizione, scorrerebbe sotto alla chiesa di Santa Maria Maggiore di Vercelli.

Ecco una possibile interpretazione alla storia del sagrestano che sarebbe scappato dai sotterranei della chiesa, dopo aver visto qualcosa di orribile in quella cripta. Suggestivo ambiente ipogeo ricco di sepolture. Resti scheletrizzati e mummie, descritte dal medico legale Germano Giordano.

Biografia: Dorothy Garrod

Riprendo quanto avevo introdotto nel precedente intervento, in merito all’importante ruolo svolto dalle donne in campo archeologico, e scelgo di farvi conoscere una grande archeologa poco nota ai più.
La possiamo considerare una vera e propria pioniera, anche se prima di lei si possono registrare altre donne dedite alle ricerche archeologiche (tra cui, in ordine di tempo, Sarah Belzoni e Hilda Petrie, moglie del ben più famoso Sir Flinders Petrie, considerato il padre dell’archeologia scientifica).

Dorothy Garrod

Dorothy Annie Elizabeth Garrod nacque ad Oxford il 5 maggio del 1892, unica figlia di Sir Archibald Garrod, medico inglese famoso per le indagini sui disordini congeniti del metabolismo e la scoperta dell’alcaptonuria. Fu la prima donna, nel 1939, ad essere nominata professore all’università di Cambridge e, nel 1968, la prima donna ad essere insignita della medaglia d’oro da parte della Society of Antiquaries di Londra.

Frequentò il Newnham College di Cambridge e si laureò in Antropologia al Pitt Rivers Museum, Università di Oxford, dove incontrò il Dr. Robert Ranulph Maret, archeologo francese specializzato nell’esplorazione di grotte (quasi un collega speleo-archeologo). Attraverso Maret potè conoscere Abbè Henri Breuil e Comte Bègouen e, sotto la loro egida, cominciare ad esplorare le caverne dipinte nei Pirenei.

Nel 1926 condusse una spedizione archeologica in Gibilterra, presso la grotta conosciuta come Devil’s Tower, precedentemente scoperta da Abbè Henri Breuil, ed in quell’occasione scoprì cinque parti del cranio di un bambino neandertaliano ed utensili in pietra appartenenti alla cultura musteriana. Nel 1928, durante il soggiorno presso la British School of Archeology di Gerusalemme, condusse delle indagini su una grotta di calcare a Shukba, in Palestina, scoprendo ossa fossili umani e strumenti di pietra simili a quelli ritrovati a Gibilterra. Lo stesso anno, il Dipartimento di Antichità del governo d’Israele le chiese di verificare e studiare gli strati all’interno della grotta Athlit, presso il Monte Carmelo. Lavorò alla missione insieme a Dorothea Bate ed insieme provarono che la grotta era stata utilizzata nel Paleolitico dagli uomini di Neanderthal, pubblicandone i risultati nel 1937 in The Stone Age of Mount Carmel. Da questi studi era riuscita a realizzare alcune correlazioni tra i resti faunistici e le condizioni climatiche ed ecologiche dei periodi in esame, mentre analisi simili condotte a Mugharet e a Tabune, in Palestina, le permisero un’ulteriore passo in avanti: ossia la teorizzazione dell’esistenza, nel medesimo arco di tempo, tra il più “avanzato” tipo di Uomo di Neanderthal a Tabun, e il tipo più “primitivo” ritrovato in Europa. Sulla base dei suoi studi Dorothy fu premiata dall’Università di Cambridge, nominata Dottore Onorario dall’Università della Pennsylvania e dal Boston College; nel 1939 venne inoltre nominata Disney Professor of Archaeology a Cambridge.

Durante la Seconda Guerra Mondiale entrò a far parte del Photographic Intelligence Service presso la RAF Medmenham, servendo nel Women’s Auxiliary Air Force. Al ritorno dalla guerra continuò ad insegnare fino all’età di sessant’anni (1952), quando decise di rassegnare le dimissioni per avere più tempo da dedicare alla ricerca sul campo e ai viaggi all’estero da dedicare agli scavi. Trascorse molto tempo a Parigi, Gerusalemme, Beirut e Saida e riuscì a stabilire la sequenza cronologica del Basso Paleolitico in Libano. Con J.G.D. Clark, nel 1965, scrisse il capitolo “Primitive Egypt, Western Asia, and Europe” per il Cambridge Ancient History. Sempre nel 1952 era stata eletta socio della British Academy e, nel 1965, Comandante dell’Order of the British Empire.

Morì pochi anni dopo, il 18 dicembre del 1968.

Poco o nulla si è saputo di lei fino al 1991, quando la Biblioteca del Museo di Antichità Nazionali ricevette in eredità gli scritti dell’archeologa francese Suzanne Cassou de Saint-Mathurin, morta quell’anno. Tra quelle carte si trovavano diari, lettere, fotografie e manoscritti di Dorothy Garrod, riscoperti dalla studiosa Pamela Jane Smith tramite un amico della famiglia Garrod.

Bibliografia:
International Women in Science: A Biographical Dictionary to 1950, Catharine M. C. Haines.

Indagini presso la cripta della chiesa di S. Maria Maggiore di Vercelli (Piemonte, VC)

Oltre trent’anni fa sentivo raccontare, per la prima volta, la leggenda del fiume di ossa della chiesa di Santa Maria Maggiore di Vercelli. Un frammento del folklore locale, una storia come tante, che i nonni tramandano ai nipoti.
I miei interessi di bambino erano molti e vari, ma la storia trovava sempre spazio nelle mie giornate.
Quindici anni fa questa misteriosa quanto macabra leggenda tornò incredibilmente in primo piano.
Mi stavo interessando all’archeologia vercellese, alle sue particolarità, ai suoi misteri ancora insoluti e l’associazione Teses era ancora un indistinto sogno da concretizzare.


Raccoglievo così testimonianze dagli anziani che intervistavo senza sosta, raccogliendo ricordi, aneddoti, racconti e particolarità legate al passato storico della mia città, annotando tutto.
Il mio interesse principale erano i sotterranei, le fantomatiche vie di fuga, i passaggi segreti, tutte le cavità artificiali protagoniste delle leggende tramandate dalla memoria storica.
Grazie alla nutrita biblioteca di famiglia leggevo il Vola, il Casalis, il Dionisotti, il Sommo, l’Ordano e mi chiedevo quali fonti potessero o meno confermare questa o quella leggenda.
Difficilmente avrei immaginato, all’epoca, che un giorno avrei potuto dedicarmi a queste ricerche e di studiare in prima persona proprio il sottosuolo della mia città e, in particolare, la leggenda del “fiume di ossa” che tanto aveva alimentato la mia fantasia di bambino.
Trent’anni dopo mi ritrovavo al teatro Persio Flacco di Volterra, a raccontare questa leggenda e la sua origine, nel corso del XII° Convegno Nazionale del C.I.C.A.P..
La chiesa di S. Maria Maggiore si trova  metà di via Duomo, a qualche decina di metri di distanza da dove sorgeva l’antica ed omonima basilica, distrutta nel 1777.
Premettendo che le storie tramandate oralmente sono soggette ad inevitabili alterazioni del nucleo originale, non possiamo far altro che documentare quanto raccolto negli anni, unendolo ai numerosi interrogativi che ci siamo posti.
Fortunatamente le diverse versioni che abbiamo ascoltato, per lo più narrate da anziani, non differiscono di molto tra di loro, consentendoci una ricostruzione abbastanza chiara e lineare della storia descritta.
In un periodo non meglio identificato, che possiamo ipotizzare essere la prima metà dell’XIX secolo, l’attenzione di un uomo, forse un sagrestano, venne attirata dal sottosuolo della chiesa. Forse incaricato di verificare la presenza di topi, o di portare nelle cantine del materiale da riporre, quest’uomo si trovò a dover discendere una lunga scalinata che conduceva sotto alla chiesa di S. Maria Maggiore. L’ambiente, illuminato solamente dalla tremolante fiamma del suo lume, appariva molto ampio, dove grandi archi appoggiavano su robuste colonne.
Probabilmente era la prima volta che quell’uomo scendeva là sotto e, complice la solitudine, non fatichiamo a credere che rimase vittima della suggestione. Non dimentichiamoci che la chiesa conserva tutt’ora alcune sepolture, come era usanza prima dell’editto di Saint Claud (Décret Impérial sur les Sépultures, del 12 giugno 1804, esteso all’Italia alcuni anni dopo), il che poteva contribuire a rendere nervoso il pover’uomo.
Combattuto tra timore e curiosità, trovò il coraggio necessario avventurarsi lungo corridoio che lo aveva incuriosito. Al termine della galleria trovò in un ambiente molto grande, muovendosi lentamente, forse anche nella speranza di non far spegnere la sua lumiera restando avvolto dal buio, all’improvviso incespicò su qualche cosa che sporgeva dalla pavimentazione, ricoperta da terra e da polvere.
Con timore ed attenzione abbassò la luce verso il pavimento e vide una botola. Forse era parzialmente sollevata, forse la spostò lui spinto da quel desiderio di sapere che fa l’uomo esploratore.
Scoprì così un ambiente sottostante che provò ad illuminare, cercando di non precipitare all’interno.
I suoi occhi si abituarono gradualmente alla scarsa illuminazione e ciò che vide lo impressionò a tal punto che non volle mai più scendere nei sotterranei della chiesa.
Sotto ai suoi piedi scorreva un fiume di ossa.
Pare che in seguito a questa avventura si fosse confidato con qualche amico e che le sue parole fossero state così convincenti e ricche di sgomento che a nessuno di loro  venne voglia di andare a verificare di persona. Anzi, si dice che, da quel momento, tutti si tennero ben lontani da questo misterioso e, forse improbabile, fiume di ossa.
Le nostre ricerche, autorizzate dalla Curia Arcivescovile di Vercelli e superivsionati dall’arch. Daniele De Luca, che qui ringraziamo, ci hanno permesso di indagare in prima persona questo singolare mistero vercellese.
La presenza di ambienti sotterranei è palesemente testimoniata dai lucernai che si aprono sul fianco della chiesa, aventi come compito principale quello di garantire il ricircolo dell’aria. Da esse si può facilmente intravedere un ambiente sottostante di circa tre metri più basso rispetto al piano di calpestio della strada esterna.
La prima volta che scesi lì sotto mi parve di rivivere la leggenda, ascoltata così tante volte, in prima persona. Gli ambienti descritti corrispondevano quasi perfettamente e cresceva la convinzione che qualche cosa di vero ci fosse realmente.
L’ambiente sotterraneo, che è raggiungibile attraverso una scala in laterizio, è vasto quanto la chiesa sovrastante e conta alcune interessanti sepolture, comprende due cripte gentilizie e almeno due pozzi ordinari per la presa dell’acqua. L’aspetto più interessante, però, sono cinque botole lapidee con anelli in metallo, che consentono di scendere ad un ulteriore livello sotterraneo.
Qui si trovano migliaia di ossa umane, probabilmente si tratta dei resti provenienti dalla precedente edificazione della chiesa. Il mistero va indagato proprio all’interno di queste camere sotterranee, che sono state rilevate in pianta ed in sezione, insieme all’intero complesso ipogeo.

Come in molti altri casi studiati in giro per l’Italia, la presenza di camere sepolcrali non ci ha sorpreso, ma inizialmente ci ha deluso. Non vi erano elementi in grado di fornirci la chiave di lettura della leggenda.
Solamente in seguito a periodici esami dell’ambiente è stato possibile comprendere il reale nucleo del mito.
E’ proprio la quota della pavimentazione di queste camere ad essere la chiave di lettura dell’arcano.
Infatti una di esse è leggermente più profonda delle altre, variazione sufficiente a consentire, in determinati periodi stagionali o in seguito ad abbondanti precipitazioni meteoriche, l’infiltrazione di acqua proveniente da un affioramento di falda.
L’acqua, così penetrata attraverso uno strato permeabile del terreno, consente alle ossa, dilavate da secoli di cicli come questo, e quindi alleggerite, di galleggiare all’interno della stanza sotterranea.
Molto probabilmente è proprio questa l’immagine che vide il protagonista della leggenda, migliaia di ossa umane galleggiare nell’acqua: il fiume di ossa.

Indagini presso la cripta dei Disciplini della chiesa di S. Bernardino alle Ossa di Milano (MI)

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Esplorare ambienti sotterranei spesso ci porta in cavità utilizzate per conservare i resti mortali di chi ci ha preceduto.
Nella zona dell’antico “broletto arengario“, proprio alle spalle del Duomo di Milano, si trova la cappella di San Bernardino alle Ossa, nota anche come l’Ossario San Bernardino dei Morti.
E’ caratterizzato da migliaia di ossa umane disposte in modo tale da decorare le sue pareti, macabra architettura che però lo rende quotidianamente meta di curiosi e di turisti. Sono veramente inquietanti questi teschi, disposti simmetricamente con altrettante tibie, imprigionate da reti metalliche e disposte sulle quattro pareti della piccola cappella.
Accanto ad essa si trova la chiesa, a pianta centrale, riedificata nel XVIII secolo in seguito ad un incendio. Come i fedeli ed i turisti possono agevolmente notare, davanti all’altare si trova una grata metallica, con una targhetta in ottone. Sotto ad essa si trova la “cripta dei Disciplini“, inaccessibile al pubblico.

Aperta ufficialmente solo nel 1931, al momento è possibile ammirarla solo grazie ad una preziosa cartolina, sul retro della quale troviamo scritto:
Sepolcreto dei Disciplini scoperto nel Santuario di S. Bernardino l’8 ottobre 1931. Costruito contemporaneamente al Santuario, servì fino al 1790 come sepoltura dei membri dell’antichissima Confraternita dei Disciplini, la quale aveva in custodia l’Ossario che risale al 1210.

Con una semplice torcia possiamo illuminare attraverso la grata i dieci gradini sottostanti. La scalinata si perde nell’oscurità e con essa le nostre domande.
In età recente non è più stato permesso a nessuno di scendere in questo ambiente e di poterlo documentare, almeno in modo ufficiale.
Rimossa la grata abbiamo l’opportunità di ripercorrere questi stretti gradini e di raggiungere la camera sepolcrale dei Disciplini.
La confraternita dei disciplini, composta da laici dediti alla preghiera, alla penitenza ed all’autoflagellazione sorse probabilmente agli inizi del XV secolo ma in breve tempo ottenne la completa e totale autonomia nella gestione e nell’amministrazione della propria chiesa.
Tra le loro opere di carità più importanti vi era quella di occuparsi del funerale e della sepoltura dei poveri, nonché di dare conforto ai condannati nei terribili atti antecedenti l’esecuzione.
L’ordine è poi stato soppresso in seguito all’emendamento del 20 aprile 1786.
L’ambiente che abbiamo esplorato è una particolare camera sepolcrale, che prende il nome di putridarium. Infatti, al suo interno venivano disposti i corpi dei defunti, seduti su dei seggi in muratura disposti lungo le pareti della stanza, e lasciati alla decomposizione.
Ogni seggio era dotato di un pozzetto per la raccolta dei liquami cadaverici, che venivano convogliati, tramite un piccolo condotto, sul pavimento.
Il pavimento stesso denota una discreta pendenza verso un pozzetto, che raccoglieva i liquidi organici.
Sopra al pozzetto si trova un cippo che regge una croce in metallo.
La simbologia della decomposizione dei cadaveri era molto sentita, ma per nulla legata ad interessi tanatologici.
La carne, che rappresentava i peccati e la corruzione materiale, marcendo si distaccava dalle ossa, da sempre simbolo di purezza.
Questa sorta di Purgatorio reale predisponeva le anime dei defunti, così purificati, ad essere meglio accolti nel regno dei cieli.
Al termine del processo, venivano raccolte le ossa e gettata dell’acqua per ripulire il seggio, che avrebbe ospitato un nuovo corpo, il massimo dell’igiene!
Tra i resti umani ancora presenti in situ abbiamo potuto scorgere frammenti di tessuto, lembi ancora in parte conservati dei sai che indossavano al momento della sepoltura e alcune piccole targhette di legno, sulle quali veniva riportato, con estrema semplicità, il nome del confratello.La nostra esplorazione ha anche evidenziato come alcuni dei resti presenti in questa cripta, siano stati utilizzati in tempi recenti per studi medici. Alcuni teschi appaiono chiaramente bolliti, pratica resa necessaria per distaccare completamente i tessuti dalle ossa.
Un cranio risulta essere stato scalottato tramite una lama seghettata e presenta chiare scritte in matita, mentre in un paio di casi abbiamo notato molle metalliche e fili di ferro a fissare le articolazioni della mandibola.
Uno di questi crani, proprio grazie alle molle così posizionate, manteneva ancora la corretta connessione anatomica della mandibola.
Questi interventi dovrebbero essere successivi al 1931 anno in cui la cripta venne riaperta.
Lo studio è stato condotto realizzando anche un rilievo dell’ambiente, a pianta di pentagono irregolare,  grazie al quale abbiamo potuto ricostruirlo tridimensionalmente in computer graphics.
Anche in questa occasione abbiamo realizzato un breve video documentario, arricchito dalle sequenze 3D, con il quale vi accompagniamo a vivere con noi l’emozione dell’esplorazione.

Mistero Magazine – 23 settembre 2014 – Le cripte di Solcio

Luigi Bavagnoli ci racconta, nel numero di settembre del magazine di Mistero, di una sua vecchi avventura, ambientata nelle cripte della famiglia Cavallini di Solcio.
Esplorazione che dovette interrompere in quanto vennero ritrovati resti umani che lo stesso custode era convinto fossero stati rimossi.
Una storia curiosa, che ha coinvolto satanisti, sette e curiosi e che è anche legata ad una camera segreta ancora da ritrovare.

Mistero – I segreti del manicomio abbandonato di Mombello

1Fonte: – 27 febbraio 2014

Appuntamento con la rubrica di Luigi Bavagnoli, all’interno del programma Mistero, di Italia 1.
Oggi Luigi, presentato da Clemente Russo, presenta l’indagine condotta presso l’ex ospedale psichiatrico di Mombello, frazione di Limbiate.

Gallerie, passaggi segreti, resti umani occultati. Questi sono alcuni dei temi che vengono affrontati. Il servizio originale è stato prodotto per il progetto Teses Mystery Channel:

Mistero – Teses nella cripta di San Bernardino alle Ossa

1Fonte: – 13 febbraio 2014

Secondo appuntamento del 2014 per i Teses capitanati da Luigi Bavagnoli, all’interno del programma Mistero di Italia 1.
In questa rubrica il presidente Luigi Bavagnoli ci parla del recente studio della cripta dei Disciplini di San Bernardino alle Ossa, a Milano.

Grazie alla ricostruzione 3D realizzata da Federico Pecorino e animata da Alessandro Fulci, il compito di divulgazione dei misteri di questo luogo è facilitato e ancora più appassionante.

La puntata integrale: http://www.video.mediaset.it/video/mistero/full/438935/puntata-del-13-febbraio.html