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Luigi Bavagnoli presenta ‘Il comunismo in bianco e nero’ di Lodovico Ellena

Venerdì 10 febbraio 2017 Luigi Bavagnoli ha presentato il nuovo libro di Lodovico Ellena, dal titolo “Il comunismo in bianco e nero” (ed. Solfanelli), presso la libreria Mondadori di Vercelli, con la partecipazione di Diego Michelini.

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Luigi Bavagnoli, che da vent’anni si interessa di storia, archeologia e di esplorazioni, così definisce l’autore: “Lodovico Ellena è un personaggio spesso definito – a ragione – ‘poliedrico’, ma non solo. Ha una personalità decisamente affascinante, perché di grande cultura e di raffinata arguzia. E’ sempre un piacere disquisire con lui, perché denota la capacità di vedere oltre. (…) Si occupa di molte cose, è direttore di un liceo, musicista molto apprezzato, politico a volte scomodo, scrittore dalla penna fertile.”ellena-bavagnoli

“Un saggio meticoloso quanto scomodo” – spiega Luigi Bavagnoli – “frutto di una ricerca accurata che porta alla luce fonti inedite e spesso volutamente celate su di un’ideologia tutt’oggi protetta da omertà e imbarazzo. Un lavoro che, dal punto di vista storico, apprezzo moltissimo per via del suo rigore scientifico. Infatti, una delle grandi qualità di Lodovico, che si trasforma in un dono nei confronti di chi leggerà il suo saggio, è l’onestà intellettuale con la quale riesce a trattare argomenti fastidiosi e delicati, impiegando sempre il cervello e mai il cuore.”

“Un’opera onesta e di pregio, con la duplice valenza di favorire la comprensione storica e di dare voce e memoria alle vittime altrimenti sconosciute del comunismo. Sì, perché questo libro parla di morti, di persone uccise e trucidate e poi dimenticate.” – Aggiunge Bavagnoli.

“Che piacciano o no, questi sono fatti. Sono eventi realmente accaduti. Ed è giusto che si conoscano.” – Così conclude.

 

 

 

 

 

Vercelli Misteriosa: il nuovo libro di Gian Luca Marino

Finalmente questo sabato (5 novembre 2016)  sarà disponibile in libreria il nuovo libro dell’amico Gian Luca Marino: Vercelli Misteriosa. Un libro nato in seguito a lunga gestazione, dopo anni di ricerche in cui l’autore ha raccolto indizi e testimonianze sui più svariati argomenti.

Ho deciso di intervistarlo, per comprendere meglio il risultato di questa sua fatica.

Gian Luca Marino
Gian Luca Marino, autore di Vercelli Misteriosa

1) Come prima cosa, cosa ti ha spinto a scriverlo? Conosco molto bene la tua passione per i misteri e per l’insolito, ma cosa ti ha mosso in particolare in questa occasione?
Dalla metà degli anni Novanta ho raccolto parecchio materiale sui misteri che riguardano Vercelli e il vercellese. In seguito, quando ho iniziato la mia attività di giornalista e blogger, ho scritto numerosi articoli in merito, sia per riviste cartacee e online, sia per redazioni televisive, siti e blog. Ad un certo punto, precisamente all’inizio di quest’anno, riordinando i miei archivi ho pensato di raggruppare tutta questa mole di informazioni in un formato fruibile al pubblico pensando da subito a un libro. Oltre a quanto già pubblicato sotto forma di articoli, avevo poi materiale inedito mai pubblicato, principalmente interviste e testimonianze, che ho deciso di inserire nel mio volume.

2) Ho apprezzato molto il taglio divulgativo, evitando i soliti inquadramenti visti e rivisti. Il tutto rende la lettura molto scorrevole e piacevole. A cosa è dovuta questa scelta stilistica?
Sono convinto che per divulgare certe tematiche occorra un linguaggio fruibile e scorrevole adatto a tutti. Non posso conoscere il mio potenziale pubblico e tra esso si possono annoverare persone dalle più svariate età e dalla preparazione culturale eterogenea. Ho scritto il libro in prima persona con la scelta di lasciare le interviste così come erano. Il mio libro non è certo un saggio, non ha pretese di verità o scientifiche. Esso è una narrazione che si basa su fatti, luoghi e persone che esistono realmente e che ho personalmente visto, studiato e ascoltato.

3) A lungo ci siamo occupati di leggende e di misteri legati al mondo sotterraneo, ma vedo che qui compaiono anche altri argomenti decisamente gustosi. Cosa ci puoi anticipare?
Ufo, fantasmi, poltergeist, streghe, folletti, esorcisti,fatti strani e curiosi, persone: su Vercelli esiste un universo legato al mondo dell’occulto e del paranormale.
Non dico altro.

4) In rete si trovano infinite pagine che trattano questi argomenti, ma so che l’approccio che hai impiegato in questa pubblicazione è stato piuttosto selettivo per quanto riguarda la verifica delle fonti delle notizie. Come ti sei comportato?
Il web, strumento potentissimo ma anche controverso e ambiguo ha avuto un peso rilevante per le ricerche legate al libro. Ho usato un criterio di selezione delle fonti basandomi sull’attendibilità delle fonti stesse come l’autorevolezza dei siti o dei blog dai quali ho recepito il materiale scandagliano a fondo, prima di intraprendere qualsiasi azione, ogni singolo articolo e post con la verifica, a mia volta, delle loro fonti. Una delle sorprese è stata che,sovente, il materiale curioso che ho raccolto arrivava da fonti istituzionali sicuramente autorevoli come, per esempio, il sito dell’aeronautica militare.

5) Quale, tra le storie che racconti, ti ha appassionato di più e per quale ragione?
Le storie che mi appassionano di più sono quelle di persone ordinarie o “al di sopra di qualsiasi sospetto” che raccontano episodi straordinari. Anche qui faccio un altro esempio: sempre parlando di Saletta, una delle testimonianze più forti, inedite ed interessanti arriva da una persona con un ruolo istituzionale importante che mi ha raccontato cose che mai mi sarei aspettato di sentire.

6) Sui misteri di Vercelli e del vercellese ci sarebbe da scrivere un’enciclopedia, pensi di metterti a lavorare ad un possibile seguito?
Sono convinto che quando le persone leggeranno il mio libro mi chiederanno “Ma perché quella cosa non l’hai raccontata?”. Semplice: perché magari l’ avevo sentita ma non ho avuto tempo ed occasione per approfondirla, in parole povere “non ci ho ancora messo mano”. Ci sono ancora tante cose da raccontare e già questo potrebbe essere un seguito anche se mi piacerebbe, in futuro, scrivere un libro per narrare le cento cose più curiose e misteriose che mi sono state raccontate sul territorio. Anzi, facciamo cento e uno.

Ti ringrazio per il tuo tempo, credo che ci rivedremo a qualche presentazione.
Grazie a te e certo che ci vedremo

Amanda Pitto – Il testimone del Diavolo

E’ del 2015 il nuovo libro di Amanda Pitto, dal titolo Il Testimone del Diavolo, pubblicato da Anguana Edizioni.

Una storia avvincente, ambientata nella misteriose terre del Principato di Lucedio, dove, anni fa, Luigi Bavagnoli ed il Teses hanno mosso i primi passi.

Infatti, una delle prime scoperte del gruppo di studio vercellese è stato proprio “Lo spartito del Diavolo“, ritenuto fino al 1999 una delle tante leggende della zona. Questa importante scoperta ha catalizzato l’attenzione sull’abbazia cistercense, portando televisioni americane, tedesche ed italiane ad approfondire ed a divulgare la storia di questo luogo.

Anche la scrittrice Amanda Pitto è rimasta affascinata all’aspetto storico e folkloristico di Lucedio, al punto da scegliere questa nebbiosa località vercellese come teatro per le vicende che narra nel suo ultimo romanzo: “Il testimone del diavolo”.

Queste sono le motivazioni, unitamente all’amicizia con l’autrice, che hanno portato Luigi Bavagnoli a scrivere l’introduzione di questo libro. Consigliato!

Nati sotto il segno del cavolo – Irene Vella

Nati sotto il segno del cavolo” è l’ultimo libro della scrittrice e giornalista Irene Vella, scritto con Roberta Giovinazzo.
Con le prefazioni di Cristina Parodi e di Rita dalla Chiesa, pubblicato da Novecento Editore, contiene un inatteso contributo di Luigi Bavagnoli, presidente dell’associazione speleo-archeologica Teses.

“Conosco Irene da molto tempo, è stata anche inviata per alcuni servizi del Teses Mystery Channel, per quanto riguarda la zona di Cesena. Quando ho fatto conoscere Irene a Roberta ho capito subito che ci sarebbe stata intesa, sono due ragazze veramente molto in gamba e con una marcia in più…
Il mio racconto? E’ buffo. Chi è abituato a leggermi nella narrativa o nella saggistica, troverà qualche cosa di completamente diverso. Un bell’esperimento.”

Civiltà sepolte – C. W. Ceram e le grandi avventure narrate

Ricevo mediamente 40-50 proposte di collaborazione ogni mese.
Curiosi, appassionati, archeologi, speleologi, esploratori, fotografi, annoiati. Cerco sempre di capire, dai primi messaggi che scambio che persona ho dall’altra parte dello schermo.
Veri appassionati, professionisti, pazzi furibondi, ragazzi alle prime armi, gente con le idee poco chiare. Poco importa, cerco persone con passione e spirito di sacrificio, perché senza questa fiamma ardente non si smuove nulla e i risultati non arrivano.
Fin troppe volte ho perso tempo con persone che avevano differenti priorità, comprensibili tra l’altro, ma incompatibili con la ricerca che intendo portare avanti.

A tutti suggerisco la lettura di “Civiltà Sepolte“, del buon vecchio C. W. Ceram. A parte che già rapportarsi con persone che leggono è da considerasi un privilegio, in questo mondo così superficiale.
Poi sono convinto che il libro racconti veramente bene la passione di certi grandi personaggi del passato, della dedizione quasi folle e maniacale con la quale hanno alimentato ogni forza, per anni, fino al raggiungimento della propria scoperta.

L’ostinazione. La fiamma che arde nei loro cuori e che fa superare la fatica, la fame, la miseria, i fallimenti. La motivazione.
Solo così si comprende che nulla è regalato. Che occorre impegno, costanza, passione, perseveranza. Qualità sempre più rare ed aliene a molti. Ma per andare dove altri non sono giunti occorre fare di più. Quando si legge che dopo dieci o venti anni hanno raggiunto il proprio obiettivo, non dobbiamo credere che abbiamo aspettato 10 o 20 anni senza fare nulla e poi un mattino, come per incanto, tutto sia avvenuto spontaneamente.

Per quel periodo, per tutti quegli anni, hanno dedicato ogni istante della propria vita, in modo fin maniacale, al perseguimento del proprio sogno. Emblematici i casi di Champollion e di Schliemann, ma non solo.

In seguito a questa lettura affido dei semplici compiti, con lo scopo di capire come ognuno lavora, al di là della propria esperienza. La pulizia del metodo, l’ordine, il rispetto dei tempi concordati.

Si riesce a capire quanto una persona ci tenga e quanto sia superficiale. Se si arrende alle prime difficoltà, o alle seconde.

Ben pochi, purtroppo, dimostrano di avere la stoffa e la dedizione che cerco nei miei compagni di avventure.

Introduzione all’archeologia – parte III

Come dicevamo al termine de precedente intervento, la grande diffusione che la ricerca ebbe in questi decenni, portò ad una fisiologica necessità, quella di organizzare e regolamentare l’operato di questi numerosissimi ardimentosi, che altrimenti avrebbero seguito metodi personali, con conseguenti difficoltà di paragone e di rapporto.

Principalmente si cercò di definire un metodo universale, scientifico e sistematico, per lo scavo ed il recupero dei reperti, nonché della loro catalogazione.

Giuseppe Fiorelli e Amedeo Maiuri adoperarono il metodo, ideato e definito dal paleontologo Luigi Pigorini nel XIX secolo, quando eseguirono gli scavi a Pompei.
Ecco che l’interesse verso altri periodi va ad abbracciare il medioevo, con la conseguente nascita dell’archeologia medioevale, avvenuta inizialmente in scandinavia ed in Gran Bretagna.

Il generale inglese Pitt-Rivers scoprirà, alle porte del XIX secolo, numerosi villaggi antichi ed altrettante necropoli. Egli fu il primo ad adottare un metodo organizzato ed accurato, per catalogare i propri ritrovamenti.
I primi scavi stratigrafici in Italia avvennero al Foro Romano, a cavallo del il XIX secolo, coordinati da Giacomo Boni, mentre Rodolfo Lanciani iniziava a documentare ogni ritrovamento avvenuto nei dintorni di Roma.

Tra il 1920 ed il 1950 l’archeologo inglese sir. Mortimer Wheeler elaborò un sistema di scavo per aree quadrate mentre verso la fine degli anni ’70 venne studiato da alcuni, tra cui Edward Harris, lo scavo per grandi aree.

Le due grandi guerre mondiali furono da traino alla nascita dell’archeologia urbana, per via delle opere di ricostruzione e di interventi consolidanti agli edifici delle città distrutte.

Introduzione all’archeologia – parte II

Chi è stato il primo archeologo della storia?
E’ importante saperlo, sia perché a lui dobbiamo veramente molto, sia per pura cultura personale, al giorno d’oggi troppo sottovalutata.

Ebbene, esistono diverse correnti di pensiero e ancora oggi sono in molti a contendersi la pestigiosa onorificenza.
L’opinione più diffusa accrediterebbe Tucidide, antico storico greco. Egli fu il primo a tentare la ricostruzione del passato tramite alcune testimonianze tangibili e materiali, ovvero i reperti.

Ma occorre spingersi in pieno Umanesimo, il periodo che corrisponde al Quattrocento italiano, e che si posiziona tra il Medioevo ed il Rinascimento, per avvicinarsi ad una concezione di archeologia molto più simile a come la intendiamo oggi.

L’archeologia dell’Umanesimo si sviluppa grazie all’interesse verso il passato classico che contribuì al commercio ed al collezionismo di oggetti prodotti e realizzati durante l’epoca greco-romana.
Cosa avviene? In realtà poco o niente. I preziosi reperti vengono conservati, come suppellettili e meri oggetti decorativi, diventano oggetti di scambio e di baratto e nulla più. Nessuno inizia a studiarli, ma perlomeno viene data loro l’opportunità di giungere integri fino a noi. E’ interessante notare come, durante questo periodo, non si fece distinzione tra opere d’arte e oggetti comuni, di vita quotidiana.

Ciò permise la sopravvivenza di un discreto campionario di oggetti.
Fino a questo momento, l’interesse per il passato si limitò alla sola cultura classica e continuarono ad essere ignorati i resti di ogni altra civiltà.

Appuntiamoci ora un nome importante: Johann Joachim Winckelmann. Nel 1765 pubblicò un testo che segnò un importante passo evolutivo della storia dell’archeologia. Si tratta di “Storia delle arti del disegno presso gli antichi”, il primo testo che spiega le opere greco-romane in un corretto contesto storico e non più solamente come singoli oggetti estrapolati dal tempo e dallo spazio.
Purtroppo si continua ad ignorare tutto ciò che non concerne il classico, anche perché sono ancora molto diffuse certe concezioni estetiche neoclassiche.
Dobbiamo ora proiettarci avanti nel tempo di altri 150 anni, per incontrare l’opera “Industria artistica tardomana”, scritta da Alois Riegl e pubblicata nel 1901. L’importanza di questo testo la si trova nella comprensione dell’esigenza di analizzare le opere studiate in un preciso contesto sia temporale che geografico.

Ora i tempi sono maturi e ciò che Riegl trasmise fu accolto in modo consapevole ed illuminato. La nuova corrente di pensiero si diffonde rapidamente ed incontra sempre più persone interessate. Interesse che non si esaurisce nella passiva documentazione su pubblicazioni altrui, ma che porta addirittura molte persone a cimentarsi nel ruolo di pionieri e di “eXploratori”.

Le prime ondate di studio, assolutamente poco organizzate e prive di metodo, portarono però alle più grandi scoperte, grazie anche al fatto che essi furono i primi a scandagliare terreni ancora vergini.

Ercolano e Pomepi vennero scoperte nel XVIII secolo e questa scoperta è da annoverarsi tra le prime, oltre che tra le più importanti del nostro territorio.
Non si trattava solamente di scavi frenetici, ma anche di studi a tavolino, lunghi e maniacali, che portarono a risultati di rilievo, come la decodifica della scrittura geroglifica da parte di Jean-François Champollion, che diede il via al glorioso e florido studio della cultura egizia, ancora oggi molto attuale.
Studi e scoperte portati avanti dall’italiano Giovanni Battista Belzoni e da Karl Richard Lepsius. La scrittura cuneiforme venne decifrata da Georg Gridrich Grotefend e permise a Paul EmileBotta, insieme ad Austen Herny Layard ed a Robert Koldeway, di compiere le loro mirabili scoperte nella terra del Tigri e dell’Eufrate, la terra tra i due fiumi, la Mesopotamia.

Prendiamo appunti, annotiamoci una data da ricordare, il 1873, ovvero l’anno in cui Heinrich Schliemann scoprì la città di Toria.
Le eXplorazioni avvengono un po’ ovunque e nel 1900 sir Arthur Evans iniziò gli scavi di Crosso. Non dobbiamo però dimenticarci che, nonostante l’entusiasmo e l’impegno di tutti, queste ricerchealtro non furono che scavi e sterri, in grado di riportare alla luce oggetti che sarebbero finiti direttamente in qualche museo dove gli addetti li avrebbero catalogati.

Solo in seguito vennero ampliati gli studi e migliorati i metodi, comprendendo lo studio del reperto successivo al ritrovamento e di ciò che poteva testimoniare, unitamente al suo contesto. In seguito alla riscoperta delle catacombe romane nasce una nuova disciplina, l’archeologia cristiana ed in breve nasce anche l’interesse vero la preistoria e la proto-storia, fino ad ora mai realmente considerate.

Per concludere questo argomento citiamo l’utilissimo lavoro di Christian Thomsen, che redasse la prima periodizzazione delle età storiche, per consentire un metodo di catalogazione univoco ed uniformato al fine di iniziare quel lento ma indispensabile processo di coordinamento di tutti coloro che si occupavano di archeologia. L’aspetto originario storico-artistico lascia gradualmente sempre più spazio verso fondamenta più storico-antropologiche e l’interesse si diffonde per tutte le epoche e per tutti i tipi di reperti.

Introduzione all’archeologia – parte I

Molti appassionati di archeologia non conosco bene il suo significato.

Non possiamo avvicinarci a questo argomento senza conoscerne le basi.
Nulla di meglio che incominciare chiedendoci cosa significhi la parola “archeologia” e che origini abbia.
Archeologia è un termine che deriva dal greco antico ed è composto da due parole: “archàios” e “logos”. La parola “αρχαίος” (archàios), significa “antico” e λόγος, (lògos), significa “studio”.
Quindi il termine nella sua interezza assume il significato di studio dell’antico ed infatti si tratta proprio della disciplina che studia il nostro passato. Che studia un passato che giunge, parzialmente ed in modo frammentario, fino a noi, attraverso manufatti, reperti, segni che ha lasciato l’uomo antico nell’ambiente.
Si tratta di un insieme di piccoli indizi che l’archeologo deve saper scoprire e riconoscere, per elaborali correttamente e porli in relazione tra loro.

Questo è il compito dell’archeologo.

E’ vero che nell’immaginario collettivo sovente però si pensa all’archeologo come ad un pioniere, ad un avventurierio con una pala in mano, al centro di un deserto, mentre scava metri cubi di terra, alla ricerca di qualche favoloso rarissimo reperto che gli donerà fama e gloria.
Nella realtà raramente l’archeologo scava, più frequentemente supervisiona e dirige il lavoro di manovali, cooperative, associazioni, volontari, all’interno di un ben definito cantiere disciplinato da chiare regolamentazioni e da un progetto chiaro ed approvato dalle istituzioni. Per la maggior parte del suo tempo studia i reperti tornati alla luce, cerca di datarli e di inserirli in un contesto il più preciso possibile, di classificarli.

Fanno parte dell’archeologia diverse discipline, come l’archeologia industriale, l’archeologia sperimentale, ma anche la numismatica, ovvero lo studio delle monete antiche, l’epigrafia, ovvero lo studio delle epigrafi.

La più giovane di queste discipline è l’archeologia del sottosuolo, nata solo nel 2005, che a sua volta è una multi-disciplina che abbraccia l’archeologia, la geologia, la speleologia, l’architettura e la storia, al fine di studiare luoghi, ambienti e costruzioni classificabili come cavità artificiali, e gli oggetti in essi contenuti. Rientrano tra gli argomenti di interesse di questa nuova disciplina anche le cavità del sottosuolo di origine naturali se adoperate dall’uomo come rifugio, nascondiglio o adattate dallo stesso con ampliamenti e modifiche strutturali.