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IL GREMBO DELLA TERRA: TRA ETRURIA E ISOLE COOK di Selene Feltrin

Il comune denominatore è l’uomo. Nella sua sfaccettata e apparente complessità il reticolo del comportamento umano ha intrecci che sono le “parole chiave” di interpretazione.
L’uomo all’inizio della civiltà si adatta al territorio , lo studia, gli da un nome, lo ama per i doni e lo teme per i pericoli. In questo senso la geografia influisce sulle religioni, poiché il primo dio con cui viene a contatto e deve confrontarsi è la terra in cui vive e cresce.
Durante degli studi compiuti sul paesaggio naturale rappresentato sugli specchi etruschi ho trovato particolarmente rilevante l’uso di incidere il bronzo con linee frastagliate di contorno per racchiudere i personaggi protagonisti della scena in un ambiente roccioso, nello specifico la grotta.
Gli Etruschi ben conoscevano le grotte.

Come scrissi nel mio elaborato:
“Dopo un’attenta lettura delle interpretazioni fornite nel CSE e un’analisi personale delle immagini si è stabilito, per chiarezza, di indicare, in questo elaborato, con la voce “grotta” l’incisione ondulata che ricorda la natura del suolo roccioso, ma che si estende anche ai lati della scena fin sopra alle teste dei personaggi.
Non sempre è stato facile distinguerla dalla vegetazione di tipo frondoso e dalle wavy lines intese come nuvole o rappresentazioni mistiche dell’aura divina di cui parla nei suoi studi Gisela Walberg. A volte il mito stesso a cui la scena fa riferimento conferma la presenza della caverna ad avvolgere, celare e garantire intimità alle azioni.”
Mircea Eliade, antropologo delle religioni diceva: ‘Nella preistoria la caverna, spesso assimilata ad un labirinto e trasformata ritualmente in un labirinto, era insieme il teatro delle iniziazioni e il luogo dove si interrano i morti. A sua volta il labirinto era omologato al corpo della madre terra. Penetrare in quel labirinto equivaleva ad un ritorno alla madre.’

Ne deriva un semplice messaggio onnicomprensivo: la grotta è luogo di passaggio, luogo che unisce l’umano al sovraumano e, al tempo stesso, a ciò che è infero e ancora, si potrebbe convenire, luogo adatto alla scena mitica che prende forma.
La sua simbologia è profonda e ben radicata all’interno di innumerevoli culture in tutto il mondo. Da sempre l’uomo l’ha considerata più di una semplice cavità, che fosse naturale o artificiale. Ne sono un esempio la grotta della dea Ilizia, presso Amnisos, il porto di Cnosso, le grotte sacre del deserto del Tassili in Algeria, la grotta di Chauvet in Francia o quella di Cuevas de las Manos in Argentina e ancora la sacra grotta di Lourdes.

Attualmente le grotte conosciute in Toscana e inserite nel Catasto Nazionale delle Grotte d’Italia sono ben 1843 di cui 1300 si trovano solo nella’area carsica delle Alpi Apuane, dunque gli Etruschi stessi dovevano avere una certa familiarità con caverne e grotte naturali per la morfologia del territorio in cui abitavano.
Non da meno lo modificavano profondamente. Evidenti resti del loro operare sono le cosiddette “vie cave”.

“Queste strade concepite presumibilmente tra il IX e l’VIII secolo a.C. si presentano come profonde incisioni nei ripiani tufacei ubicati nella parte meridionale della Toscana, nella valle media del Fiora e, in particolare nella valle del suo affluente, il Lente, tra i comuni di Sorano e Pitigliano”. Gli Etruschi, quindi, scavarono nella roccia tufacea, facilmente plasmabile, gallerie a cielo aperto, le “tagliate”, in alcuni tratti chiuse in alto dalle fitte fronde degli alberi. Tali vie cave che passavano in prossimità di necropoli erano larghe tra 1 e 4 metri e avevano una profondità che raggiungeva anche i 25 metri. Il microclima creatosi in questi stretti passaggi favorisce e favoriva la crescita di muschi, licheni e felci. Si potrebbe pensare a queste tagliate come delle vie di passaggio, ma il fatto che spesso corrono parallele, hanno talvolta andamento tortuoso e labirintico e conducono al medesimo luogo, smentisce questa loro funzione. Forse avevano una finalità differente e misteriosa, come fa notare Catacchio : “Per molte comunità antiche alcuni paesaggi fisici, reali, assumono valori particolari, sono uno spazio non neutro ma vissuto, carico di elementi simbolici e ideologici: il paesaggio mentale si sovrappone a quello reale.
Il territorio dell’Etruria corrisponde all’incirca all’attuale Toscana con i confini orientali e meridionali segnati dal corso del Tevere, quello occidentale dal Mar Tirreno e quello settentrionale dalla valle dell’Arno, con influenze alla fine del VI secolo avanti Cristo verso nord nella pianura Padana e verso sud nella Campania. Considerata tale estensione geografica, gli Etruschi avevano sicuramente confidenza con paesaggi variegati, ma il centro in cui la civiltà Rasenna si è radicata e sviluppata è un territorio per lo più collinare con rilievi montuosi, anche se modesti, e, in parte, di natura vulcanica in cui la pietra caratteristica è il tufo.

La roccia, magmatica, calcarea o tufacea e, di conseguenza, un paesaggio aspro e impervio, con speroni di roccia e altipiani era, dunque, familiare al popolo Rasna in quanto parte integrante del suo ambiente di vita. Per questo motivo, forse, compare, frequentemente negli specchi, sotto forma di suolo roccioso, grotta o singolo elemento, come supporto scenografico all’azione dei personaggi. A questa prima tautologica lettura si potrebbe avanzare anche l’ipotesi di una relazione tra le figure rappresentate e la natura retrostante.

Dunque riprodurre paesaggi rocciosi, antri e grotte era una “moda”, un’emulazione del reale, un retaggio di mitologia oppure un significato simbolico più profondo?
Proviamo a spostarci sia geograficamente che temporalmente lontano, fino alle isole del pacifico in cui i popoli della Polinesia misero piede relativamente tardi, durante un lungo processo migratorio dal 300 a.C che si protrae fino all’800 d.C.
Nella isole Hervey, appartenenti all’arcipelago delle Cook meridionali vi è un’isola che porta il nome di Mangaia. Si erge per circa 3750 metri sopra il livello del mare e cresce sopra un’area vulcanica e come molte isole della zona presenta incredibili barriere di corallo non lontano dalle sue coste. Ma quello che è davvero interessante di quest’isola è che presenta al suo interno grandi formazioni rocciose e incredibili caverne. Si credeva che Mangaia fosse il punto di passaggio per le anime dei morti verso Avaiki, il regno dei morti, dove regnava la dea Miru, che in molto somiglia all’italica Ecate. (anche Miru come Ecate è una dea ctonia, infera e ha delle figlie, come demoni dal nome Tapairu, simili alle figlie della dea italica, conosciute come Empuse).

Si credeva che ci fosse un profondo e oscuro passaggio direttamente sull’abisso in riferimento a una grotta sull’Oceano.
Ed ecco che ancora una volta l’antro della terra, in cui l’uomo trova da sempre riparo, è anche il frutto dell’inconoscibile, della sua paura più grande, quella della morte.
Eppure in tutto questo mi piacerebbe poter leggere una felice anche se inconscia associazione alla speranza che la morte rappresenti un’altra vita e come tale, nuovamente, d’obbligo, deve passare da una cavità oscura di un silente, incubante grembo materno della Terra.

BIBLIOGRAFIA:
M. Eliade: Trattato di Storia delle Religioni, Torino, 1976.
G.Walberg, Tradition and Innovation. Essays in Minoan Art. Mainz am
Rhein: Verlag Philipp Von Zabern. 1986.
Negroni Catacchio N., Cardosa M., Pitone M. R., Dalla grotta naturale al tempio, tra natura e artificio: forma ed essenza del luogo sacro in Etruria durante l’età dei metalli, in Antropologia e archeologia a confronto: rappresentazioni e pratiche del sacro, atti dell’incontro internazionale di studi, Museo Nazionale Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini” (20-21 maggio 2011), Nizzo V., La Rocca L. (a cura di), Roma, 2012.
R. Williamson, Religious and cosmic beliefs of central Polynesia, Cambridge, 1933.
S.Feltrin, Elementi del paesaggio naturale negli specchi etruschi, 2017.

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Indagini presso le grotte di Ottiglio Monferrato (AL)

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Per dei ricercatori, che inseguono leggende di cunicoli, di gallerie sotterranee e di passaggi segreti, trovare la mappa di un tesoro sarebbe come un sogno che si avvera e che spinge a una frenetica attività di analisi e di ricerca. Si frequentano archivi pubblici e privati, si cercano ritagli di giornale, si intervistano decine di anziani e la storia prende forma. Ed è quello che ho fatto anche in questo caso.
In Monferrato, nel territorio comunale di Ottiglio (AL), situato nel Piemonte meridionale, vi è una grotta nota come “Grotta dei Saraceni”.

Situata in un fondovalle nei pressi di Moleto, la grotta doveva già essere conosciuta in età romana, almeno da una guarnigione stanziata in quelle terre per ritemprare le ferite delle campagne d’Oriente grazie all’abbondanza di acque sulfuree e curative.
E proprio i romani avrebbero realizzato al suo interno un tempio dedicato alla divinità irano-persiana Mithrà, il “Sol Invictus”, figlio del sole che viene spesso raffigurato come un giovane che indossa mantello e berretto frigio nell’atto di uccidere un toro, gesto che simboleggia, secondo alcuni, la nascita della vita, secondo altri il significato sarebbe astrologico, ovvero di controllo sulla precessione degli equinozi.
Già la sola riscoperta di questo tempio risulterebbe un evento di considerevole interesse archeologico, in quanto in Italia vi è un solo altro mitreo ancora conservato in cavità naturale, a Duino, mentre molti sono i templi realizzati in cavità artificiali, come il bellissimo mitreo sotto a S. Clemente in Roma.
Ma la storia si complica, e non di poco. Il nome della grotta deriverebbe dalle presunte scorribande dei saraceni del X secolo, narrate anche nelle note “Cronache della Novalesa”. Probabile fossero predoni di religione islamica, ma nord africani o iberici, più che saraceni, il che però non cambierebbe la sostanza che li vuole rifugiarsi in questa vallata, ben difendibile. La grotta divenne quindi il luogo ideale in cui nascondere i bottini rubati.
Utilizzo che durò per altri sei secoli, vedendo l’alternanza di predoni di ogni sorta, per lo stesso motivo dei ‘saraceni’.

Nel 1626 il Governo Mantovano, che aveva giurisdizione anche sul Monferrato, da l’ordine di rendere la grotta inaccessibile e fa esplodere i suoi ingressi.
La leggenda vuole che al suo interno, oltre al tesoro nascosto in anni di razzie e di scorrerie, rimasero imprigionati molti uomini con i loro cavalli.
Sarebbe questo l’evento chiave che avrebbe mosso un nobile della zona ad interessarsi a quella vallata oscura, temuta da tutti. Accompagnato da un servitore si recò nella valle e trovò uno degli accessi alla grotta, parzialmente ostruito.
Percorrendo un dedalo di cunicoli raggiunse il tempio dedicato al sole ed una stanza in cui era stato accatastato un enorme tesoro.
Non potendo trafugarlo, dal momento che l’esercito teneva ancora sotto controllo la zona, decise di tracciare una mappa, per ritrovarlo. E, con essa, produsse dei crittogrammi, indizi codificati in scritte e disegni, contenenti delle indicazioni da utilizzare insieme alla mappa.
Il tesoro sarebbe stato accatastato in quattro nicchie presenti nella grotta, poi chiuse da lastre di pietra. Altrettante incisioni, riportate sulla mappa, avrebbero indicato le ubicazioni esatte.
Al momento, solo la prima nicchia, ormai depredata, è stata ritrovata.
Fu questa la molla che, trecento anni dopo, avrebbe fatto partire un ciclo di ricerche abusive che hanno dell’incredibile.
Un giovane studente di Casale Monferrato avrebbe rinvenuto casualmente la mappa prodotta dal conte, all’interno di una copia dell’epistolario di S. Girolamo, libro appartenuto alla famiglia del nobile.
Curioso che i fogli si trovassero, pare, all’altezza della lettera “ad Laetam”  epistola in cui l’autore parla proprio del culto di Mithra.
Riconosciuto il posto iniziò a scavare, o meglio, a far scavare ai contadini della zona, dopo averli assoldati. Pare che, dopo alcuni tentativi, questi uomini finalmente trovarono uno dei sei ingressi descritti e che raggiunsero il tempio del dio Mithrà. Ma non era quello il loro obiettivo, stavano cercando il tesoro e del luogo di culto poco gli importava.
In seguito alla denuncia del proprietario del terreno sul quale stavano lavorando, il gruppo si sciolse. Alcuni di loro, però, nonostante la diffida, ripreso a scavare dal terreno adiacente, di proprietà di un amico accondiscendente. L’obiettivo era quello di scavare una galleria capace di perforare il fianco della collina per raggiungere la camera ritrovata, punto da cui riprendere le ricerche.
Per un errore di calcolo giunsero alti, sopra al tempio e lo riempirono del materiale estratto.


Da allora iniziò una vera e propria caccia al tesoro, con tanto di colpi sleali da parte di ognuno dei protagonisti: documenti che spariscono, falsi indizi creati per depistare gli antagonisti, la stessa mappa seicentesca pubblicata in più versioni con vistose differenze. Pubblicazioni con pseudonimi realizzate con il solo scopo di convalidarsi a vicenda e dare credibilità ad indizi falsi. E anche di sedute spiritiche ed ipnotiche effettuate nella speranza di essere guidati nello scavo dei cunicoli che avrebbero condotto al tesoro, aggirando l’interro.
Nascono ulteriori storie di presenze malvagie che aleggerebbero in questi sotterranei, scatenando poltergeist. E poi un fantasma, una presenza femminile, che comparirebbe la notte del solstizio d’inverno, all’ingresso della grotta. Vista da alcuni anziani negli anni ’80 ha preso il nome di “maga Alcina” e viene descritta come una giovane bellissima dai lunghi capelli biondi.
Ma le sorprese non sono finite. Si parla di una cascina, oggi demolita, dalle cui cantine si poteva raggiungere prima un lago sotterraneo e poi le grotte stesse.
A complicare ulteriormente la situazione, una cava ha estratto e demolito per anni parte del colle che ospita questi misteriosi ipogei, cancellando per sempre chissà quali elementi.
Oggi il tempio, se mai è esistito, potrebbe giacere sepolto sotto ad uno strato di almeno sei o sette metri di terra, ma, purtroppo, questa avventura non interessa alle istituzioni, che hanno altri problemi ed altre emergenze a cui far fronte, piuttosto che mettersi a caccia di un tesoro.

Indagini presso la grotta di S. Antonino di Finale Ligure (SV)

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Spesso la grotta, nell’antichità, era considerata un luogo in cui regnava il male. Dimora di draghi, di divinità pagane, del diavolo stesso.
A volte si credeva che fosse la tana di qualche oracolo, utile solo in caso di necessità, ma altrimenti da tenere bene a distanza.
Ed è per questa ragione che molte cavità naturali legate a questo tipo di leggende vennero esorcizzate. Venivano condotte processioni, solitamente guidate dai preti locali seguiti da un nutrito numero di uomini forzuti e armati di forconi e di torce, qualora qualche mostro reale fosse fuoriuscito dai meandri del sottosuolo.
Si recitava una preghiera e si tornava a casa. Nessun mostro ne usciva per tutto l’anno e quindi il rituale aveva funzionato.
In altri casi si impiantarono, nelle loro immediate vicinanze, pietre con sopra incise delle croci, aventi il medesimo significato e capaci di produrre il medesimo risultato.
In altri casi ancora, quando era più radicato il legame della gente con questi luoghi, occorreva qualche cosa di più concreto, di più fisico. Allora si inibiva l’accesso a queste cavità ipogee, o interrandole, o facendole franare. In qualche occasione, invece, si decise di affermare l’egemonia della nuova religione con la costruzione di una chiesa cristiana proprio sopra l’accesso a queste grotte.
Così avvenne a S. Antonino di Finale Ligure. La chiesa altro non è che una cappella, dotata di cripta di modeste dimensioni posta sotto al presbiterio. In questo ambiente, rischiarato tra tre fini monofore, si trova il piccolo altare e, quasi di fronte ad esso, l’apertura verso la grotta.
Uno stretto passaggio che permette di accedere alla cavità naturale un tempo tanto temuta. Di modesto sviluppo è arricchita da infinite concrezioni di calcare e si estende verso il basso per alcuni metri.
Purtroppo l’ignoranza dell’uomo ha prodotto i suoi danni fino qui, almeno nella parte iniziale molte delle possenti concrezioni di calcare sono state segate ed asportate
La cappella, accanto al castrum Perticae, è stata abbandonata da diversi anni ed ogni tanto viene visitata da qualche escursionista, che rimane stupito dell’esistenza del grottino sottostante.

I misteri della Grotta dei Saraceni – Ottiglio (AL)

Dopo 10 anni dalla prima pubblicazione cartacea su questo luogo, a cui sono seguiti decine di articoli su giornali, mensili e siti web, Luigi Bavagnoli torna a parlarci dei misteri della Grotta dei Saraceni di Ottiglio Monferrato, in provincia di Alessandria.
In questa occasione ci conduce sul posto, grazie al permesso del proprietario del terreno nel quale si apre l’accesso. Coadiuvato da Alessandro Fulci e dal giovane Alessandro Bavagnoli, Luigi Bavagnoli, presidente dell’ass. Teses, ci conduce nelle oscure gallerie del colle di S. Germano.
Insieme a lui ripercorriamo la storia nota, quella raccontata dal compianto Aldo di Ricaldone: un possibile tempio romano dedicato al dio Mithrà, sepolto nei livelli inferiori, un tesoro derivante dalle razzie dei predoni “saraceni”, delle epigrafi e della mappa del tesoro che avrebbe prodotto il conte Mola nel XVII secolo, degli scavi di Pietro Maschera prima e di Pierangelo Torielli dopo.
Ad arricchire il folklore locale è la presunta apparizione della maga “Alcina” a protezione delle grotte, nella notte del solstizio di inverno, il 21 dicembre.

Parte 1

Parte 2

Parte 3

Il drago nella grotta ed il mito dell’inferno

Come spesso accade, esiste una spiegazione scientifica agli eventi insoliti.
Sta a noi cercarla, con la serenità del curioso e con il metodo dello scienziato.

Tra i vari argomenti che tocchiamo oggi c’è il mito del drago nella grotta, la celebre figura di un animale in grado di sputare fuoco, che vive in qualche caverna.
L’elemento fuoco è spesso associato al sottosuolo, basti pensare alla tradizionale descrizione degli inferi danteschi, ma quale elemento reale e tangibile potrebbe trovarsi all’origine di queste storie?

Si sa che il sottosuolo spesso rilascia gas infiammabili, idrocarburi dovuti alla decomposizione di resti organici (leggasi animali morti) e così via. Questi gas, in condizioni particolari si possono incendiare, per lo stesso principio dei fuochi fatui, senza nemmeno scomodare le numerose cause di morte in miniera in cui le esplosioni sono innescate da fiamme libere a contatto con il tanto temuto grisoù.

Nel Chestnut Ridge Park, a Erie County, nello stato di New York, per esempio, si trova una delle rare “fiamme eterne”, fiammelle sprigionate dal ventre della terra. Accesa da tempo immemore si trova in una piccola caverna, sotto ad una cascata.

Studiata da una commissione di geologi, presenta la più alta concentrazione di etano e di metano, insieme per un valore di circa il 35%, (il restante è metano), gas che risalirebbero tramite fessure permeabili da una profondità di 400 metri.

Immaginiamoci gli anni bui, in cui la scienza faticava a farsi strada, mentre miti e leggende si diffondevano velocemente. Chi si fosse imbattuto in questo evento insolito avrebbe trovato facile spiegazione nella presenza di un drago, delle porte dell’inferno o di qualche altra diavoleria (è il caso di dirlo…) poco razionale.

Oggi, seppur rare e di scarso interesse per il grande pubblico, risultano in qualche modo affascinanti e si attendono con attenzione nuovi risultati dagli studi in essere.

I misteri della Grotta dei Saraceni di Ottiglio

17 dicembre 2011

“Patria Montisferrati si arricchisce di un nuovo prestigioso collaboratore che ripercorre la storia di uno dei luoghi più leggendari del Monferrato.”

Così esordisce il curatore di “Patria Montisferrati“, Claudio Martinotti Doria, che ha ha selezionato e coinvolto Luigi Bavagnoli in questo progetto culturale di riscoperta della storia monferrina.

Luigi Bavagnoli parla dei misteri della Grotta dei Saraceni di Ottiglio (AL), luogo ricco di leggende e di misteri, al punto di dedicare diversi articoli per sviscerare i particolari più avvincenti che da secoli inducono i più temerari a cercare il famoso tesoro sepolto.

Leggi gli articoli su “www.casalenews.it”:

07/dic/2011
PARTE I : I misteri della Grotta dei Saraceni di Ottiglio

14/dic/2011
PARTE II : A caccia del tesoro dei Saraceni

21/dic/2011
PARTE III : La famiglia Cirio alla scoperta della leggendaria Grotta dei Saraceni

28/dic/2011
PARTE IV : Grotte dei Saraceni, l’ultimo mistero del Conte Mola

Cagliari, scoperta una catacomba sotto il bastione piena di ossa umane

1Fonte: – 26 giugno 2011

Luigi Bavagnoli e Andrea Verdini dell’associazione speleo-archeologica Teses, hanno accompagnato Daniele Bossari, presentatore di “Mistero” il programma di Italia 1 a Cagliari, per incontrare il giornalista e speleologo Marcello Polastri, presidente del Gruppo Cavità Cagliaritane. Marcello, seguendo un libro del canonico Giovanni Spano, pubblicato nel 1861, vuole ricercare una fonte sacra, cogliendo l’occasione per mostrare alle telecamere un luogo abbandonato e conosciuto solo da pochi ricercatori. Già una ventina di anni fa, in questo ambiente, vennero effettuati dei ritrovamenti dal Gruppo speleo-archeologico Spano. Vedi articolo completo su unionesarda.it

Straordinaria scoperta sotto Cagliari. Ritrovata una catacomba

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Fonte: – 25 giugno 2011

Potrebbe trattarsi della scoperta più importante dal 1800 ad oggi. Forse non siamo a tanto, forse si. E’ stata fatta dagli speleologi del Gruppo Cavità Cagliaritante, presieduto da Marcello Polastri, e dagli esploratori dell’ass. speleo-archeologica Teses di Vercelli.

A documentare l’avventura e la scoperta, in diretta, la troupe di “Mistero”, la nota trasmissione di Italia 1, con l’inviato Daniele Bossari.

Vedi articolo completo su Sardegna Sotterranea.

Scoperta a Cagliari

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Carissimi appassionati di misteri, di scoperte e di avventure sotterranee: in molti mi avete chiesto del recente ritrovamento in terra sarda.
Eccomi a raccontarvi com’è andata. In seguito alla decennale amicizia con il giornalista-speleologo Marcello Polastri, presidente del Gruppo Cavità Cagliaritane, abbiamo ipotizzato un gemellaggio esplorativo a Cagliari in cui avremmo esplorato un vecchio ospedale abbandonato, realizzato, per volere del Duce, in una ampia caverna naturale in zona Castello.

L’avventura si preannunciava affascinante per via di una leggenda, una tradizione raccontata e tramandata fino ad oggi, che coinvolgeva quell’ambiente.
Si diceva, infatti, che i primi vescovi cristiani del nord Africa, perseguitati da Trasamondo, sarebbero fuggiti a nord, insediandosi in una grotta di Cagliari. Lì avrebbero vissuto in un eremo sotterraneo, caratterizzato da una fonte d’acqua considerata di ottima qualità.

Bene, dalle ricerche condotte da Marcello e dal suo team, la grotta utilizzata dai primi cristiani poteva coincidere con quella scelta negli anni ’30 per realizzare l’ospedale, abbandonato poi in seguito ai bombardamenti del ’43.
La speranza di trovare un varco che consentisse di raggiungere la caverna naturale, all’esterno dei muri perimetrali dell’ospedale, è stata condivisa con la redazione di Mistero, che ha deciso di voler seguire l’esplorazione in diretta.

Con noi c’era il conduttore Daniele Bossari, seguito da Arcadio Cavalli nella complicata veste di operatore, regista e tecnico del suono. L’unica persona che, avendo già per hobby una formazione speleologica, poteva seguirci in questa avventura.

Così giovedì 23 giugno 2011, sveglia alle 4.00am, aereo a Linate alle 7.00 e incontro con Marcello e la sua squadra alle 10:00. Mezz’ora dopo iniziava l’esplorazione.
Abbiamo esplorato le vecchie stanze dell’ospedale, fatiscenti, superando locali di crollo, cumuli di detriti, stanze parzialmente allagate. Alcuni locali erano interessati da notevoli infiltrazioni d’acqua ed i soffitti crollati. Si poteva così vedere la roccia viva sopra le nostre teste, a ricordarci che eravamo sempre all’interno di una caverna.

Le immagini così raccolte documentavano una realtà di un passato recente molto affascinante e saremmo rimasti molto soddisfatti in ogni caso.
Ad un tratto una delle numerose brecce rinvenute in una parete dava l’accesso ad un pozzo. Così, dopo esserci arrampicati, aver strisciato in strette intercapedini, aver osservato e documentato quasi ogni dettaglio incontrato, eccoci sbucare all’esterno dell’ospedale, ma ancora all’interno della grotta.

Un ambiente molto ampio e vasto, caratterizzato da chiari segni di antropizzazione, quali incisioni e nicchie. La pavimentazione, costituita da terreno incoerente, fango ed argilla, in buona parte sommersa da un bacino idrico che ne allaga un’area.

Con rinnovato entusiasmo, a combattere la stanchezza che, verso le 9 di sera iniziava farsi sentire, esploriamo questa cavità, affondando nell’acqua e nel fango fino a rinvenire dei frammenti di ossa, cementati dal calcare lungo la parete destra della caverna.

Da un primo esame non si poteva escludere che fossero umane, ma la conferma avviene una decina di metri più avanti. Diversi teschi affioranti dal terreno testimoniavano la deposizione di altrettanti corpi, mentre tumuli ancora leggibili potevano celarne altri.

Il laghetto è stato esplorato tramite un canotto provvidenzialmente portato con noi nei vari zaini, mostrando numerose altre ossa umane sotto il livello dell’acqua. Lungo il lato di sinistra, molte altre ossa affioravano dal fango e dall’argilla, mostrando anche numerosi cocci di terracotta.

I dati così raccolti porterebbero a pensare ad una chiesa rupestre, ad un eremo. Se le datazioni dei campioni e dei reperti confermeranno le ipotesi fino a qui prodotte, potremmo aver scoperto l’eremo nel quale si rifugiarono i primi cristiani fuggiti dall’Africa.

Altrimenti resterà in ogni caso un interessante ossario sotterraneo, che potrebbe rivelare una storia utile alla comprensione del nostro passato.

Il venerdì pomeriggio l’aereo verso Milano decollava alle 17:40, potevamo finalmente riposarci soddisfatti.