Shackleton e l’Endurance

Siate sinceri, chi conosce la storia di Ernest Henry Shackleton?

Dai, sul le mani… pochi! Molto pochi!
A mio avviso occorre ricordare quest’uomo che, nel 1914, parte dall’Inghilterra verso il continente antartico, per tentare la traversata dell’Antartide.
Per oltre 280 giorni andrà alla deriva, finché la nave, l’Endurance, verrà distrutta dalla collisione con due enormi blocchi di ghiaccio. L’equipaggio, formato da 28 uomini, la abbandona e crea un campo di fortuna (termine poco appropriato in questa occasione) su di una lastra di ghiaccio galleggiante.

Bene, se l’avventura ha un nome, è proprio quello di queste persone, che per ben sei mesi vivranno su questa grande zattera naturale. Dal diario tenuto da Shackleton riviviamo la loro incredibile epopea, anche se ben difficilmente possiamo immaginare la quotidianità di quei lunghi ed interminabili giorni.
Ancora più difficile da immaginarsi è lo stato d’animo, le speranze, le paure, di questi uomini.

Il 9 aprile del 1916, la fortuna continua a voltare loro le spalle, la lastra di ghiaccio si spezza. Sopravvivendo agli scontri con gli iceberg ed evitando di diventare facile preda delle orche, l’equipaggio si divide in tre scialuppe. Sei giorni dopo raggiungeranno l’Isola degli Elefanti, la prima terra ferma dopo quasi due anni di peripezie mare gelido.

Schackleton guiderà allora una spedizione in cerca di aiuto con cinque dei suoi uomini più robusti, navigando per 16 giorni nelle acque più tempestose e difficili del globo, riuscirà a sbarcare a 1.500 chilometri di distanza, nella Georgia australe, ma la sua avventura non terminerà di certo in quell’occasione.

Dovrà ancora affronte una marcia di quasi due giorni fra i ghiacci fino a raggiungere una baleniera, dalla quale poi organizzerà il salvataggio dei suoi uomini.
Avventura con lieto fine, che avverrà il 30 ottobre del 1916, quando si riunirà ai suoi compagni, ritrovati tutti quanti ancora in vita.

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